1 dicembre 2015

Mistica del mondo terrestre


Il pensiero di un unico livello di realtà, 'trascendente' rispetto ai singoli individui, può sembrare profondo ma è un'illusione ottica, salvo voler confondere la profondità con la banalizzazione. La profondità visiva penetra la complessità degli individui e delle loro interazioni, nella loro irriducibilità e irripetibilità. In un certo senso scomporre l'Uno nelle Diecimila Cose è un programma riduzionista, ma in un altro senso cercare (forzare) l'Uno dietro alle Diecimila Cose è riduzionismo puro, del più dozzinale. 

Si può rifocalizzare la visione nella direzione opposta; e forse comprendiamo che è questo lo sguardo in profondità, l'occhio del divino, se è vero che, mentre gli uomini sognano il ritorno all'Uno, gli dèi bramano il mondo, di una brama travagliata ma costante, divorante...

In origine [gli dèi] desiderarono così intensamente l'universo da far sì che esistesse. [...] Prajapati desidera: "Possa io divenire molteplice!" Si sforza, si scalda e finisce per emettere le creature, e prima di tutto gli dèi. Ma questo sforzo lo ha sfinito. Giace, svuotato e sconnesso, minacciato dalla morte e portatore di morte per gli esseri che sono appena usciti da lui: il tempo che allora regna è una specie di 'anno' omogeneo che trascina soltanto verso la loro distruzione tutti gli esseri viventi. Prajapati vuole ricostituirsi riassorbendo le creature. Vuole la molteplicità dentro di sé, non fuori di sé. 
- da Charles Malamoud, Cuocere il mondo. Rito e pensiero nell'India antica, Adelphi


Maurits C. Escher, Drie Werelden (Tre mondi)*, 1955
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