19 maggio 2016

Un testo ritrovato


Per puro caso mi sono imbattuto in una mia composizione del 2004 che, per una strana ironia degli eventi, avevo del tutto dimenticato. Eccola.




Era bello osservare il Sole
lentamente calare e il profumo dell'erba.
Come lucciole vagavano i petali cadenti.

Immoto è il mio pensiero
rapito nel ciclo di magnificenti luci
effuso d'oro nella pace dell'autunno.

Vorrei sentire adesso la tua voce
si muovono le stelle nel silenzio
i rovi hanno lasciato lo splendore.
Non scorgo più i sentieri, non ricordo
non ricordo.

14 maggio 2016

Appunti critici #1: Chi ha paura degli aggettivi?


Cosa significa scrivere una 'buona' poesia? In che senso si può dare un canone di buona scrittura, un modello di cosa sia la buona poesia, soprattutto nel 2016, dopo che - da oltre un secolo - l'arte si è sempre più slegata dalle forme chiuse, e ha fatto tutti i capitomboli e le capriole possibili?

È diffusa da queste parti l'idea che una buona poesia debba evitare gli aggettivi. Un suggerimento che spesso si sente dare agli 'amatori', in modo quasi automatico, e che ritroviamo nei manuali divulgativi recenti. Prendiamone uno ad esempio - non importa citarlo esplicitamente (la musica è più o meno sempre quella): evitare il paragone (con il 'come'); evitare gli aggettivi, che sarebbero surrogati di immagini che non si è stati in grado di sviluppare; evitare i participi passati, che fermerebbero lo svolgimento; evitare i termini generici, astratti; gli aggettivi sostantivati, perché sarebbero figure obsolete, 'false' mentre la poesia sarebbe 'verità' (?); gli infiniti sostantivati, troppo generici dove invece la poesia ricercherebbe solo lo 'specifico'; i nomi dei colori; i termini colti o arcaizzanti; il metalinguaggio (poesia, parola, addirittura grido... ?!).

Seguendo un canone del genere, si finisce per considerare poesia solo ciò che sia costruito quasi unicamente su nomi di cose, verbi e qualche avverbio. L'impressione è che un simile codice sia molto ristretto e molto locale; si applichi cioè al retaggio della letteratura italiana soprattutto dal dopoguerra ad oggi, dove ha prevalso una critica che malvede il crepuscolarismo e il barocco, e una poesia intimidita da certi registri alti, che si attorciglia spesso in derive iper-intellettualistiche e/o si rannicchia in posizione fetale nel canto dimesso del quotidiano, dell'ordinario, delle cose di tutti i giorni. Sicuramente questa è una possibile famiglia di valori estetici; ma non si può in alcun modo pretendere di rinchiudere la sensibilità poetica entro questi recinti.

(continua...)