22 dicembre 2015

Cesura


Nel ricettacolo della tua fronte ornata
di scure scaglie d'ossidiana
ho dipinto il mio paese sconosciuto
la terra promessa dove per anni
i cantieri hanno rumoreggiato
le costruzioni insolite delle mie intime geometrie

E il terremoto irruppe
l'avvicinarsi di duemila vascelli in assetto di guerra
precipitare nel vuoto nella scarpata


Da una miniatura. Croniques di John Froissart, XIV° sec.

12 dicembre 2015

Magnum Opus Poeticum


La poesia non corrisponde al canone/codice estetico che accidentalmente la domina. 

Di certo ha regole rigide, che sono quelle del linguaggio. Non è però neanche l'insieme di queste regole linguistiche, che semmai presuppone; è piuttosto il processo stesso di usare queste regole in una costante dialettica tra fedeltà e infrazione consapevole, mediante il quale l'artista plasma, scolpisce codici e regole completamente nuove - perfino opposte a quelle dominanti - entro il linguaggio; facendone così emergere forme e potenzialità che fino a quel momento vi permanevano, ignote e inespresse.

"La poesia" disse una volta il compianto Manlio Sgalambro "non è alcunché di gentile ... è una materia poetica, una materia sonora".


In questo senso la pratica poetica è assimilabile a quella alchemica. Una materia significante viene trasformata e raffinata, fino a che ne emerga l' "oro" di significati del tutto nuovi, impliciti in quella stessa materia ma finora nascosti, inaccessibili. 
"Le poesie ... / sono apparecchi per caricare senso; / e il senso vi si accumula
(V. Magrelli). Ecco in che modo un significato anche banale, ordinario, minimo, espresso in poesia, diventa per ciò stesso universale.

"La poesia è essenzialmente romantica; solo, il romantico della poesia deve essere qualcosa di costantemente nuovo e, perciò, proprio l'opposto di ciò che di solito si dice romantico. Senza questo nuovo romantico non si arriva da nessuna parte, con esso la cosa più casuale acquista trascendenza, e il poeta corre luminosamente etc. Quel che si fa sempre è tenere puro il romantico, eliminando da esso ciò di cui le persone parlano come romantico."
- Wallace Stevens, dall'epistolario

Nell'immagine: Michelangelo Buonarroti, Schiavo che si ridesta (1525-30 circa), dal ciclo I Prigioni

1 dicembre 2015

Mistica del mondo terrestre


Il pensiero di un unico livello di realtà, 'trascendente' rispetto ai singoli individui, può sembrare profondo ma è un'illusione ottica, salvo voler confondere la profondità con la banalizzazione. La profondità visiva penetra la complessità degli individui e delle loro interazioni, nella loro irriducibilità e irripetibilità. In un certo senso scomporre l'Uno nelle Diecimila Cose è un programma riduzionista, ma in un altro senso cercare (forzare) l'Uno dietro alle Diecimila Cose è riduzionismo puro, del più dozzinale. 

Si può rifocalizzare la visione nella direzione opposta; e forse comprendiamo che è questo lo sguardo in profondità, l'occhio del divino, se è vero che, mentre gli uomini sognano il ritorno all'Uno, gli dèi bramano il mondo, di una brama travagliata ma costante, divorante...

In origine [gli dèi] desiderarono così intensamente l'universo da far sì che esistesse. [...] Prajapati desidera: "Possa io divenire molteplice!" Si sforza, si scalda e finisce per emettere le creature, e prima di tutto gli dèi. Ma questo sforzo lo ha sfinito. Giace, svuotato e sconnesso, minacciato dalla morte e portatore di morte per gli esseri che sono appena usciti da lui: il tempo che allora regna è una specie di 'anno' omogeneo che trascina soltanto verso la loro distruzione tutti gli esseri viventi. Prajapati vuole ricostituirsi riassorbendo le creature. Vuole la molteplicità dentro di sé, non fuori di sé. 
- da Charles Malamoud, Cuocere il mondo. Rito e pensiero nell'India antica, Adelphi


Maurits C. Escher, Drie Werelden (Tre mondi)*, 1955
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