26 giugno 2016

Nuovi nomi


Perché diamo valore, nonostante tutto, alla poesia e ad ogni forma d'arte? Perché ogni cosa cruciale per l'umano, ogni rapporto che possiamo instaurare con le cose, le persone, gli eventi, passa attraverso la percezione intesa anche quale elaborazione mentale del mero fatto percettivo: e l'arte è il modo più potente e diretto per potenziare la percezione. Osservando e interiorizzando un'opera d'arte, essa muta la nostra percezione del reale; i fenomeni con i quali l'opera è in grado di dialogare ci appaiono in modo diverso, ne cogliamo angoli prima nascosti alla nostra attenzione, riverberi con altri fenomeni e altri stati mentali insospettati; parti di noi finora sopite si risvegliano in quel rapporto, che non saranno mai più in grado di assopirsi nuovamente e tacere.

L'esperienza dell'arte è in grado di intensificare potenzialmente qualsiasi percezione futura con nuove letture possibili, nuove associazioni emozionali e di strati di significato, nuovi percorsi creativi e di pensiero. Un meraviglioso simbolo di questo movimento, in cui è sottolineata anche la centralità del linguaggio per la capacità creatrice, si trova ne "La storia infinita" di Ende, nel compito che Bastian si assume di dare un nuovo nome all'Infanta Imperatrice: atto che è in grado di scongiurare la dissoluzione del mondo di Fantàsia nel Nulla. In questa lettura il Nulla altro non è che un simbolo della stagnazione in percorsi già battuti, schemi mentali obsoleti, visioni e identità consumate e ormai non più in grado di stare al passo con la dinamicità e la molteplicità del continuo divenire dell'esperienza.

Se la caratteristica più peculiare dell'umano è la capacità di immaginare e costruire mondi interiori sui quali modellare quello esteriore, individuale e collettivo, allora l'arte è e sempre sarà lo strumento per eccellenza dell'ominazione.

19 maggio 2016

Un testo ritrovato


Per puro caso mi sono imbattuto in una mia composizione del 2004 che, per una strana ironia degli eventi, avevo del tutto dimenticato. Eccola.




Era bello osservare il Sole
lentamente calare e il profumo dell'erba.
Come lucciole vagavano i petali cadenti.

Immoto è il mio pensiero
rapito nel ciclo di magnificenti luci
effuso d'oro nella pace dell'autunno.

Vorrei sentire adesso la tua voce
si muovono le stelle nel silenzio
i rovi hanno lasciato lo splendore.
Non scorgo più i sentieri, non ricordo
non ricordo.

14 maggio 2016

Appunti critici #1: Chi ha paura degli aggettivi?


Cosa significa scrivere una 'buona' poesia? In che senso si può dare un canone di buona scrittura, un modello di cosa sia la buona poesia, soprattutto nel 2016, dopo che - da oltre un secolo - l'arte si è sempre più slegata dalle forme chiuse, e ha fatto tutti i capitomboli e le capriole possibili?

È diffusa da queste parti l'idea che una buona poesia debba evitare gli aggettivi. Un suggerimento che spesso si sente dare agli 'amatori', in modo quasi automatico, e che ritroviamo nei manuali divulgativi recenti. Prendiamone uno ad esempio - non importa citarlo esplicitamente (la musica è più o meno sempre quella): evitare il paragone (con il 'come'); evitare gli aggettivi, che sarebbero surrogati di immagini che non si è stati in grado di sviluppare; evitare i participi passati, che fermerebbero lo svolgimento; evitare i termini generici, astratti; gli aggettivi sostantivati, perché sarebbero figure obsolete, 'false' mentre la poesia sarebbe 'verità' (?); gli infiniti sostantivati, troppo generici dove invece la poesia ricercherebbe solo lo 'specifico'; i nomi dei colori; i termini colti o arcaizzanti; il metalinguaggio (poesia, parola, addirittura grido... ?!).

Seguendo un canone del genere, si finisce per considerare poesia solo ciò che sia costruito quasi unicamente su nomi di cose, verbi e qualche avverbio. L'impressione è che un simile codice sia molto ristretto e molto locale; si applichi cioè al retaggio della letteratura italiana soprattutto dal dopoguerra ad oggi, dove ha prevalso una critica che malvede il crepuscolarismo e il barocco, e una poesia intimidita da certi registri alti, che si attorciglia spesso in derive iper-intellettualistiche e/o si rannicchia in posizione fetale nel canto dimesso del quotidiano, dell'ordinario, delle cose di tutti i giorni. Sicuramente questa è una possibile famiglia di valori estetici; ma non si può in alcun modo pretendere di rinchiudere la sensibilità poetica entro questi recinti.

(continua...)

9 aprile 2016

Favola sinistra


Non riuscì a resistere, si lasciò scivolare in mezzo ai cespugli e fu dentro il giardino. Vecchi alberi imponenti, con i rami strettamente intrecciati gli uni negli altri, fiancheggiavano un lungo, interminabile viale. Una statua di donna in marmo bianco era saldamente fissata a un blocco rupestre. Quello che aveva sentito leggere nelle Mille e una notte a proposito dei giardini e dei castelli incantati gli pareva realtà. Forse lì, lo avrebbero soccorso e sarebbe stato felice, come sempre succede nelle fiabe. Recitò una preghiera della sera e si avviò, pieno di fiducia, verso la statua di Andromeda che ornava il giardino. Doveva senz'altro trattarsi di un'affascinante principessa che un incantesimo aveva pietrificato. Le toccò un piede: era freddo come ghiaccio. La statua parve guardarlo con una strana espressione di malinconia nel chiarore lunare.
Il lungo viale era ancora immerso nell'oscurità della notte, che pareva ancora più fitta  per via dei contorni esterni, illuminati. Colonne di pietra sormontate da enormi sfere si susseguivano a distanza regolare l'una dall'altra. Le scambiò per nani posti a guardia della strada. Un identico viale bordato delle stesse figure si allungava nella direzione opposta. Tra i due c'era un lago dalle ripide sponde, nel cui mezzo sorgeva una piccola isola. Là, le foglie nei loro colori autunnali facevano pensare ai più magnifici fiori. Le luci che scendevano dalla facciata dell'edificio principale assumevano tinte incredibili, filtrando attraverso le tende colorate. Di là provenivano anche le note incantatrici. Si sarebbe detto che il viale non avesse fine, e anche in questo c'era un'aria di sortilegio.

(da Hans C. Andersen, Il violinista)

Un erasure poem è una poesia composta a partire da un testo, cancellandone alcune parti, senza modificare le parole che non si cancellano né la loro disposizione, e senza aggiungere nulla al testo di partenza.

21 marzo 2016

Senso delle proporzioni


"Portandovi di sopra", le disse il domestico che incontrò sulle scale, "il signore vi ha strappato il vestito, non è che un pezzetto di stoffa; ma ha anche spezzato la mascella di questa chimera, e non so chi potrà rimetterla a posto. Ecco sconciata la nostra scala, quella balaustra era così bella!"
"Be', povero Lemulquinier, lascia stare, non è poi una gran disgrazia."
"Che sta mai succedendo", disse tra sé Lemulquinier, "perché questo non sia un disastro? Non avrà il mio padrone trovato l'Assoluto?"

- Honoré De Balzac, La ricerca dell'Assoluto (dall'ediz. Garzanti, 2009)

6 marzo 2016

Attraverso il web


Barbadillo.it dedica oggi uno spazio al mio libro: la recensione, corredata di una scelta di estratti, si può leggere qui. Un ringraziamento ai redattori.

13 febbraio 2016

Era meglio dare ascolto a Sabbadinna


Allora Devamantiya disse al venerabile Nagasena: "Venerabile, il Re Milinda ha detto così: Domani ci sarà un colloquio a palazzo." L'anziano assentì dicendo: "Va bene."

Quindi, verso la fine della notte, Devamantiya, Anantakaya, Mankura e Sabbadinna andarono dal Re Milinda e, quando furono al suo cospetto, gli dissero: "Sire, può entrare il venerabile Nagasena?"
"Sì, lasciatelo entrare."
"Con quanti monaci verrà?"
"Fatelo entrare con quanti monaci vorrà."
Quindi Sabbadinna disse: "Sire, lasciatelo venire con dieci monaci."
Ma il Re per la seconda volta disse: "Fatelo entrare con quanti monaci vorrà."
E per la seconda volta Sabbadinna disse: "Sire, lasciatelo venire con dieci monaci."
E per la terza volta il Re disse: "Fatelo entrare con quanti monaci vorrà."
E per la terza volta Sabbadinna disse: "Sire, lasciatelo venire con dieci monaci."
"Tutti i preparativi sono stati fatti. Io dico: Lasciatelo venire con quanti monaci vorrà, ma sebbene io dica ciò, Sabbadinna dice il contrario. Forse non siamo in grado di dare cibo ai monaci?"
Quando ciò fu detto Sabbadinna si vergognò.

Allora Devamantiya, Anantakaya e Mankura si diressero dal venerabile Nagasena e dopo essersi avvicinati gli dissero: "Venerabile, il Re Milinda dice: Fatelo entrare con quanti monaci vorrà."
Il venerabile Nagasena, dunque, si vestì di buon mattino e, dopo aver preso la ciotola e il mantello, entrò a Sagala con i suoi ottantamila monaci.

- Milindapañha, 2

9 febbraio 2016

Schermaglie teoriche: Descartes contra Roberval


Il 23 settembre 1647, Cartesio, l'alfiere dell'horror vacui, porge una visita a Pascal, malato e costretto a letto. A casa del grande matematico si trova anche Roberval. Dopo aver ammirato insieme la celebre macchina aritmetica di Pascal, i tre passano a discutere del vuoto.

Pascal aveva ripetuto l'anno prima, a Rouen, l'esperimento in cui Gasparo Berti aveva creato il vuoto in un tubo di piombo fissato alla parete di un edificio e immerso in una botte d'acqua: riempiendo il tubo con acqua, sigillandolo in cima, e aprendo un rubinetto posto all'estremità inferiore, l'acqua scorre nella botte (ma solo fino a un livello costante) lasciando il vuoto nella parte superiore del tubo. Torricelli aveva poi provato col mercurio e Pascal, dimostrando un sottile humour, col vino (per un approfondimento su questi esperimenti, si può leggere qui).

Seguiamo lo scontro fra titani nel racconto che ne fa Jacqueline Pascal, sorella di Blaise:
« Il Sig. Cartesio si è fatto serio all'improvviso. Gli altri due gli hanno descritto un recente esperimento [quello di Rouen, n.d.t.], chiedendogli poi cosa pensasse che fosse entrato nello spazio svuotato del tubo. Cartesio ha risposto che si era trattato di 'materia sottile' ["dit que c'était de sa matière subtile"]. Mio fratello ha cercato di controbattere come meglio ha potuto. A quel punto, credendo che stesse trovando difficoltà nel parlare [a causa del suo stato di salute, n.d.t.], è intervenuto il Sig. Roberval infervorandosi alquanto, sia pure mantenendo modi civili. Al che il Sig. Cartesio ha affermato piuttosto acidamente che ne avrebbe discusso ancora volentieri con mio fratello, che aveva parlato in modo ragionevole, mentre non avrebbe più rivolto parola a Roberval, che si era invece rivelato pieno di pregiudizi. »

Come sarà andata a finire? Una zuffa? Un duello all'arma bianca? Sentiamo:

« Senonché, accorgendosi che s'era fatto mezzogiorno, il Sig. Cartesio si è alzato, poiché aveva un appuntamento per pranzo al Faubourg Saint-Germain; per combinazione anche per Roberval era così, tant'è che Cartesio lo ha condotto in una carrozza dove loro due soli hanno fatto il tragitto insieme, cantando goguettes particolarmente salaci » 
- lettera di Jacqueline Pascal alla sorella Gilberte, 25 settembre 1647.

Anonimo inglese, Ritratto di gentiluomo con bicchiere di vino, 1730